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      Messaggio Da TOMMY's Gio Feb 14, 2008 6:30 pm

      5. Sensibilità del supporto

      Le pellicole sono state i primi supporti sensibili ad essere state utilizzate nel campo fotografico.Ne esistono molte varieta, ciascuna adatta per particolari condizioni o situazioni. Le pellicole fotografiche sono definite come materiali sensibili alla luce montati su un supporto che viene tagliato e confezionato in rulli o fogli nelle dimensioni standard, per essere utilizzato con ogni tipo di macchina fotografica. Le pellicole fotografiche esistono nelle versioni per riprese in bianco e nero oppure a colori, e la loro utilizzazione si adegua a una grande varietà di situazioni, molte delle quali sono conosciute solo superficialmente.

      5.1 Struttura della pellicola

      Le pellicole in bianco e nero producono una selezione monocromatica (ossia a un solo colore) dell'immagine, naturalmente a colori, che viene proiettata su di loro. In pratica, si tratta di una composizione di toni del grigio, le cui luminosità corrispondono in misura inversa all'intensità della luce che forma l'immagine nelle stesse aree; e stiamo riferendoci alla pellicola negativa, che con successivo procedimento di stampa consente di ottenere un'immagine positiva. Queste pellicole consistono di una serie di strati sovrapposti, combinati assieme. Prima c'è la base della pellicola, o supporto, di solito in plastica flessibile, ma a volte anche in vetro (oggi solo per le emulsioni speciali) o plastica rigida. L'emulsione depositata sul supporto consiste di sali d'argento (grani) sensibili alla luce, sospesi in una gelatina trasparente e assorbente. Tra i vari strati ve ne sono alcuni composti da tinture, una di queste (rivestimento antialone) assorbe la luce sparsa e riflessa all'interno dell'emulsione e della base, mentre altre (tinture di filtraggio della luce) determinano la sensibilità al colore.
      L'esposizione fotografica, ossia l'esposizione alla luce messa a fuoco dall'obiettivo sulla pellicola, causa delle modificazioni fisiche nell'emulsione vergine, creando un'immagine latente, resa visibile solo dopo che la pellicola esposta è stata sviluppata.
      Le pellicole fotografiche a colori sono, in pratica, definibili come emulsioni in bianco e nero a diversi strati, nelle quali vi sono tre o più strati sovrapposti, ciascuno sensibilizzato e opportunamente filtrato per registrare solo determinate lunghezze d'onda della luce. Durante il trattamento, i grani d'argento che formano i diversi strati dell'immagine, vengono dissolti e sostituiti da tinture appropriatamente colorate. Si ottiene così un negativo a colori nel quale i colori sono, ancora, inversi rispetto le cromie originali: le stesse che poi appariranno sulla stampa finale, ovvero il blu del soggetto appare giallo nel negativo; il verde, magenta; il rosso, cyan e così via.
      Il trattamento d'inversione fornisce invece diapositive, ovviamente con pellicole predisposte. Le diapositive, perlopiù a colori, si usano sia per la proiezione diretta sia per la stampa.

      5.2 Caratteristiche variabili della pellicola

      Le pellicole fotografiche esistono in numerose versioni, per soddisfare ogni necessità della ripresa. Tutte prevedono gli stessi componenti di base, ma ognuna è qualificata da particolari caratteristiche (tra cui la sensibilità alla luce, la grana, il contrasto e la sensibilità al colore) che ne determinano le prestazioni d'uso.

      5.3 Sensibilità alla luce

      Una delle tre principali varianti nell'esposizione fotografica (e le altre riguardano l'apertura del diaframma dell'obiettivo e il tempo di otturazione) si basa sulla sensibilità della pellicola usata, ovvero sul suo grado di risposta a una data quantità di luce. Le pellicole fotografiche sono generalmente suddivise in tre gruppi, distinti in fasce di sensibilità. Si esordisce alla bassa sensibilità (fino a 50-100 Iso circa), si passa quindi alla media sensibilità (fino a 200 Iso circa), e si approda all'alta sensibilità (dei 400 Iso, 1000 Iso e 1600 Iso) che attualmente rappresentano la sensibilità fotografica limite per il materiale fotografico tradizionale; ci sono quindi emulsioni a sviluppo immediato da 3000 Iso e anche da 20.000 Iso, propri di un'applicazione speciale della ripresa fotografica.
      La sigla Iso, che andrebbe scritta tutta maiuscola (ma più spesso appare nella sua grafia maiuscolo-minuscolo), rappresenta la più recente standardizzazione dell'indicazione, ovvero della misurazione, della sensibilità della pellicola. Nel tempo, e a tempi sempre più brevi, la definizione Iso, i cui valori nella sostanza corrispondono a quelli della scala Asa, è destinata a sostituire ogni altro codice identificatorio. Anche se la sensibilità Iso è semplificata al suo valore coincidente con gli Asa, precisiamo ancora che la sua denominazione ufficiale comprende pure il valore Din. Così la media sensibilità andrebbe espressa come 100/21 Iso (che corrisponde a 100 Asa/21 Din), ma l'uso comune semplifica in 100 Iso. Oltre i fatti formali rimane un'aspetto sostanziale, non già visibile nell'espressione numerica: la definizione Iso, rispetto le quantificazioni Asa e Din, è pure qualificata da rinnovati valori di tolleranza, assai più ristretti di quelli che furono invece propri dell'Asa. Così, lo slittamento all'espressione Iso della sensibilità della pellicola fotografica non rappresenta solo un momento formale, quanto un punto sostanziale.

      5.4 il CCD

      Per ovvi motivi pratci i ccd che equipaggiano le macchine digitali fanno riferimento per la loro sensibilità alla scala Iso. La pellicola fotografica come abbiamo detto è ricoperta da un’emulsione fotosensibile di cristalli di argento. Quando la luce colpisce la pellicola, gli atomi di argento si agglomerano. Più luce è presente, maggiori saranno gli agglomerati. In questo modo una porzione di pellicola registra i diversi quantitativi di luce che incidono sulle varie zone della superficie. Il CCD contenuto nella vostra macchina digitale è un chip di silicio ricoperto da una serie di piccoli elettrodi chiamati photosite (fotoelementi). Sistemati in una griglia, troviamo un photosite per ogni pixel di un’immagine. Di conseguenza è il numero di photosite che determina la risoluzione di un CCD. Prima di poter scattare una fotografia, la macchina digitale deve poter caricare di elettroni la superficie del CCD. Quando la luce colpisce il CCD, gli elettroni si agglomerano sopra la griglia di photosite. Maggiore è la luce che coinvolge un photosite, maggiore sarà il numero di elettroni agglomerati. Dopo aver esposto il CCD alla luce, la macchina deve semplicemente misurare la quantità di carica a ogni photosite per determinare quanti elettroni sono coinvolti, e così stabilire quanta luce ha inciso su quel determinato punto. Questa misurazione viene poi mutata in un numero da un convertitore analogico-digitale. La maggior parte delle macchine digitali consumer si serve di un convertitore analogico-digitale a 8 bit, ovvero la carica elettrica di ogni photosite viene convertita in un numero a 8 bit, cioè un numero fra 0 e 255. Alcune macchine più costose hanno convertitori analogico-digitali a 10 o 12 bit, il che significa che possono fare uso di valori fino a 1024 e 4096 rispettivamente. In ogni caso, un convertitore da analogico a digitale con una maggiore profondità di bit non offre al vostro CCD una gamma dinamica maggiore. I colori più luminosi e più scuri che può vedere rimangono gli stessi. La profondità di bit influisce esclusivamente sulle gradazioni di colore che saranno più precise e sottili all’interno della gamma dinamica. Il termine dispositivo ad accoppiamento di carica
      (Charge Coupled Device, CCD) deriva dal modo in cui la macchina digitale interpreta le cariche dei singoli
      photosite. Dopo aver esposto il CCD, le cariche sulla prima fila di photosite vengono trasferiti a un
      dispositivo di uscita (read out register) dove vengono amplificati e poi inviati al convertitore analogico-digitale. Ogni fila di cariche viene elettricamente accoppiata alla fila successiva in modo che, dopo che
      una fila è stata letta e cancellata, le file successive si spostano verso il basso per occupare lo spazio
      lasciato libero. Le file di photosite sulla superficie del CCD sono fra loro accoppiate. Non appena la fila più
      bassa viene letta nella parte inferiore del CCD, tutte le file soprastanti si spostano verso il basso. Questo
      significa “accoppiamento” nella dicitura “dispositivo ad accoppiamento di carica”. Dopo che tutte le file di photosite sono state lette, il CCD viene ricaricato di elettroni ed è pronto a scattare una nuova immagine.

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