In elettronica si parla di applicazioni audio quando un circuito viene
progettato allo scopo di elaborare un segnale caratteristico della
banda di frequenze audio.
Ma forse è opportuno prima specificare che col termine segnale si intende una qualsiasi tensione elettrica che varia nel tempo, riproducendo l'andamento di un determinato fenomeno fisico.
Se, ad esempio, cantiamo davanti a un microfono, nella bobina di
quest'ultimo nasce una tensione variabile che riproduce fedelmente,
istante dopo istante, le variazioni della pressione determinata dalle
onde sonore di chi canta; tale tensione è un segnale.
Se suoniamo una chitarra elettrica, i pick-up magnetici che si trovano
sotto le corde raccolgono le vibrazioni di queste ultime e le
trasformano in una tensione modulata che riproduce le stesse
vibrazioni; anche questo è un segnale.
Esistono molti altri esempi di segnali in elettronica (segnali radio,
radar, video, ecc.) ma adesso a noi interessa parlare solo di quelli
che sono collegati al suono, ai rumori, alla musica ed insomma a tutto
quello che possiamo percepire col nostro udito. L'orecchio umano può
rilevare, quando è perfettamente sano, frequenze comprese nella gamma
20 ÷ 20000 hertz, per cui è in tale banda di frequenze che operano i
circuiti audio.
Uno dei ciruiti elettronici audio più diffusi è l'amplificatore; come
dice il nome, si tratta di un circuito il cui compito è quello di
"amplificare", ovvero rendere più ampia, una tensione modulata, allo
scopo di consentirne successive utilizzazioni. Pensiamo ad un concerto
rock:
la spaventosa potenza sonora prodotta dalle casse (si parla anche di
migliaia di watt) non è altro che la riproduzione enormemente
amplificata di vari segnali, in origine di piccolissima ampiezza,
provenienti da microfoni, chitarre, batterie, tastiere, ecc.; se si
pensa che il segnale in uscita da una chitarra elettrica è dell'ordine
di qualche mV (millivolt, cioè millesimi di volt), e che le tensioni
che pilotano altoparlanti come quelli da stadio sono dell'ordine di
svariate decine di volt, si comprende perchè sia necessario ricorrere
agli amplificatori audio per far arrivare alle migliaia di persone di
un concerto la musica suonata sul palco.
L'impiego dell'elettronica nel campo musicale ed audio in genere è reso possibile da dispositivi chiamati trasduttori.
Un trasduttore è qualcosa che trasforma un tipo di energia in un altro:
per esempio, il microfono raccoglie le vibrazioni prodotte dalla voce,
o meglio la pressione delle corrispondenti onde sonore, e le trasforma
in una tensione elettrica. E' un trasduttore anche l'altoparlante, che,
alimentato da un segnale elettrico di potenza adeguata, la trasforma in
energia meccanica mettendo in vibrazione il suo cono; questo, a sua
volta, trasmette all'aria quelle vibrazioni che il nostro orecchio
percepisce come suono.
L'elettronica, quindi, interviene tramite un "circuito amplificatore",
elevando di migliaia di volte l'ampiezza di quella debolissima corrente
prodotta dal microfono e portandola ad una potenza in grado di far
muovere anche un grosso altoparlante del peso di decine di chili.
Un amplificatore è composto da vari stadi in cascata, che cioè si
susseguono uno dopo l'altro; i primi stadi, detti di preamplificazione,
hanno il compito di elevare la tensione
del segnale in ingresso, in genere da pochi millivolt ad alcuni volt;
gli stadi finali devono invece produrre potenza, richiamando
dall'alimentatore forti correnti che vengono inviate all'uscita, dove
sono collegati gli altoparlanti.
Un preamplificatore non ha solo il compito di elevare la tensione del
segnale in ingresso; spesso, infatti, tale segnale deve essere
modificato nella sua composizione spettrale, perchè possa essere
restituito fedelmente il suono originale.
Ciò è particolarmente vero, ad esempio, quando si amplifica il segnale
proveniente dalla testina magnetica di un giradischi (quando ancora si
usavano i bei dischi in vinile...): per esigenze tecniche, quando il
segnale musicale viene inciso sul disco master, da cui poi si
ricaveranno le copie, le varie frequenze sonore non vengono registrate
con la loro ampiezza reale; poichè alle frequenze basse corrispondono
vibrazioni più ampie, al punto che un solco potrebbe andare a toccare
quello vicino, questa banda viene attenuata, tanto di più quanto più le
frequenze sono basse. Nel momento in cui il disco viene riprodotto, se
si vuole che ciò che si sente sia fedele al pezzo originale, occorre
mettere in atto il processo inverso: tale operazione è proprio compito
del preamplificatore, che in tal caso agisce come un "equalizzatore".
L'equalizzazione di un segnale, cioè l'operazione di ripristinare il
giusto livello delle varie frequenze che lo compongono, è un
procedimento ben definito, che avviene in ogni caso rispettando i
valori di quella che viene detta "curva di equalizzazione".
La curva di equalizzazione relativa alla testina magnetica che legge un
disco in vinile è la curva RIAA, così come, per i segnali registrati su
nastro magnetico, esiste la curva di equalizzazione NAB.
La correzione dell'ampiezza del segnale alle varie frequenze viene
realizzata con apposite reti di resistenze e condensatori, poste in
serie al segnale o sul circuito di contro-reazione, come si vede nel
circuito di figura 3, dove il preamplificatore è realizzato con un
circuito integrato LM381 della National. Il segnale proveniente dalla
testina entra sull'ingresso non invertente (piedino 1); sull'ingresso
invertente risulta invece collegata una rete (i cui componenti sono in
colore rosso) che riporta indietro parte del segnale in uscita,
realizzando una reazione negativa o "controreazione", che ha lo scopo
di ridurre l'amplificazione di determinate frequenze, a vantaggio di
quelle che in fase di registrazione sono state attenuate.
Sarebbe interessante trattare degli stadi di amplificazione a
transistori, delle caratteristiche configurazioni in classe A, in
classe B, ecc., ma non sarebbe molto utile, poichè la presenza in
commercio di un'infinità di circuiti integrati belli e pronti, ed a
prezzi irrisori, rende priva di senso la costruzione in proprio di un
amplificatore utilizzando componenti discreti (e cioè singoli
transistor, resistenze, condensatori, ecc.).
In figura 4 è possibile confrontare gli schemi di due amplificatori di
prestazioni più o meno equivalenti: quello in alto è realizzato con
sette transistor, oltre a varie resistenze e condensatori, mentre
quello in basso è realizzato con un circuito integrato, i cui piedini
sono indicati dai numeri posti vicino al simbolo centrale a triangolo;
è evidente la notevole differenza di complessità fra i due schemi,
senza considerare che il primo, oltre a richiedere più tempo per il
montaggio, risulta anche più costoso in termini di prezzo dei vari
componenti.
La costruzione in proprio con componenti discreti (ovvero sfusi) può
quindi essere giustificata solo in casi molto particolari, come ad
esempio quando un audiofilo raffinato, dotato anche di notevoli
capacità progettuali, voglia sperimentare qualche particolare soluzione
circuitale o avvalersi di componenti selezionati che egli ritiene in
grado di garantire prestazioni particolarmente valide; quanto, poi,
queste presunte differenze siano realmente percepibili durante il
normale ascolto, è tutto da dimostrare.
Vi sono anche accaniti sostenitori degli amplificatori a valvole, il cui suono, dicono, è di una purezza
non raggiungibile con circuiti a semiconduttori. A parte le
considerazioni nostalgiche, è mio parere che, chiacchierando
amichevolmente tra appassionati, si può affermare qualunque cosa:
qualcuno dirà "le valvole hanno un suono più caldo", altri diranno che
il suono delle valvole è "cristallino". Resta il fatto che le
caratteristiche di un amplificatore si dovrebbero valutare in base a
parametri dal significato indiscutibile, quali la distorsione armonica,
la risposta ai transienti, la banda passante, il rumore di fondo, ecc.;
le altre considerazioni sono solo valutazioni emozionali, affidate alla
sensibilità ed alle convinzioni personali.
Fatte queste premesse, forse anche un pò dispersive, vedremo in altre
pagine di questo sito come costruire in pratica qualche semplice
circuito che possa tornare utile nelle circostanze più comuni.
Nuovi progetti saranno aggiunti di volta in volta, anche in seguito ad eventuali richieste dei visitatori.
progettato allo scopo di elaborare un segnale caratteristico della
banda di frequenze audio.
Ma forse è opportuno prima specificare che col termine segnale si intende una qualsiasi tensione elettrica che varia nel tempo, riproducendo l'andamento di un determinato fenomeno fisico.
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Se, ad esempio, cantiamo davanti a un microfono, nella bobina di
quest'ultimo nasce una tensione variabile che riproduce fedelmente,
istante dopo istante, le variazioni della pressione determinata dalle
onde sonore di chi canta; tale tensione è un segnale.
Se suoniamo una chitarra elettrica, i pick-up magnetici che si trovano
sotto le corde raccolgono le vibrazioni di queste ultime e le
trasformano in una tensione modulata che riproduce le stesse
vibrazioni; anche questo è un segnale.
Esistono molti altri esempi di segnali in elettronica (segnali radio,
radar, video, ecc.) ma adesso a noi interessa parlare solo di quelli
che sono collegati al suono, ai rumori, alla musica ed insomma a tutto
quello che possiamo percepire col nostro udito. L'orecchio umano può
rilevare, quando è perfettamente sano, frequenze comprese nella gamma
20 ÷ 20000 hertz, per cui è in tale banda di frequenze che operano i
circuiti audio.
Uno dei ciruiti elettronici audio più diffusi è l'amplificatore; come
dice il nome, si tratta di un circuito il cui compito è quello di
"amplificare", ovvero rendere più ampia, una tensione modulata, allo
scopo di consentirne successive utilizzazioni. Pensiamo ad un concerto
rock:
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la spaventosa potenza sonora prodotta dalle casse (si parla anche di
migliaia di watt) non è altro che la riproduzione enormemente
amplificata di vari segnali, in origine di piccolissima ampiezza,
provenienti da microfoni, chitarre, batterie, tastiere, ecc.; se si
pensa che il segnale in uscita da una chitarra elettrica è dell'ordine
di qualche mV (millivolt, cioè millesimi di volt), e che le tensioni
che pilotano altoparlanti come quelli da stadio sono dell'ordine di
svariate decine di volt, si comprende perchè sia necessario ricorrere
agli amplificatori audio per far arrivare alle migliaia di persone di
un concerto la musica suonata sul palco.
L'impiego dell'elettronica nel campo musicale ed audio in genere è reso possibile da dispositivi chiamati trasduttori.
Un trasduttore è qualcosa che trasforma un tipo di energia in un altro:
per esempio, il microfono raccoglie le vibrazioni prodotte dalla voce,
o meglio la pressione delle corrispondenti onde sonore, e le trasforma
in una tensione elettrica. E' un trasduttore anche l'altoparlante, che,
alimentato da un segnale elettrico di potenza adeguata, la trasforma in
energia meccanica mettendo in vibrazione il suo cono; questo, a sua
volta, trasmette all'aria quelle vibrazioni che il nostro orecchio
percepisce come suono.
L'elettronica, quindi, interviene tramite un "circuito amplificatore",
elevando di migliaia di volte l'ampiezza di quella debolissima corrente
prodotta dal microfono e portandola ad una potenza in grado di far
muovere anche un grosso altoparlante del peso di decine di chili.
Un amplificatore è composto da vari stadi in cascata, che cioè si
susseguono uno dopo l'altro; i primi stadi, detti di preamplificazione,
hanno il compito di elevare la tensione
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del segnale in ingresso, in genere da pochi millivolt ad alcuni volt;
gli stadi finali devono invece produrre potenza, richiamando
dall'alimentatore forti correnti che vengono inviate all'uscita, dove
sono collegati gli altoparlanti.
Un preamplificatore non ha solo il compito di elevare la tensione del
segnale in ingresso; spesso, infatti, tale segnale deve essere
modificato nella sua composizione spettrale, perchè possa essere
restituito fedelmente il suono originale.
Ciò è particolarmente vero, ad esempio, quando si amplifica il segnale
proveniente dalla testina magnetica di un giradischi (quando ancora si
usavano i bei dischi in vinile...): per esigenze tecniche, quando il
segnale musicale viene inciso sul disco master, da cui poi si
ricaveranno le copie, le varie frequenze sonore non vengono registrate
con la loro ampiezza reale; poichè alle frequenze basse corrispondono
vibrazioni più ampie, al punto che un solco potrebbe andare a toccare
quello vicino, questa banda viene attenuata, tanto di più quanto più le
frequenze sono basse. Nel momento in cui il disco viene riprodotto, se
si vuole che ciò che si sente sia fedele al pezzo originale, occorre
mettere in atto il processo inverso: tale operazione è proprio compito
del preamplificatore, che in tal caso agisce come un "equalizzatore".
L'equalizzazione di un segnale, cioè l'operazione di ripristinare il
giusto livello delle varie frequenze che lo compongono, è un
procedimento ben definito, che avviene in ogni caso rispettando i
valori di quella che viene detta "curva di equalizzazione".
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La curva di equalizzazione relativa alla testina magnetica che legge un
disco in vinile è la curva RIAA, così come, per i segnali registrati su
nastro magnetico, esiste la curva di equalizzazione NAB.
La correzione dell'ampiezza del segnale alle varie frequenze viene
realizzata con apposite reti di resistenze e condensatori, poste in
serie al segnale o sul circuito di contro-reazione, come si vede nel
circuito di figura 3, dove il preamplificatore è realizzato con un
circuito integrato LM381 della National. Il segnale proveniente dalla
testina entra sull'ingresso non invertente (piedino 1); sull'ingresso
invertente risulta invece collegata una rete (i cui componenti sono in
colore rosso) che riporta indietro parte del segnale in uscita,
realizzando una reazione negativa o "controreazione", che ha lo scopo
di ridurre l'amplificazione di determinate frequenze, a vantaggio di
quelle che in fase di registrazione sono state attenuate.
Sarebbe interessante trattare degli stadi di amplificazione a
transistori, delle caratteristiche configurazioni in classe A, in
classe B, ecc., ma non sarebbe molto utile, poichè la presenza in
commercio di un'infinità di circuiti integrati belli e pronti, ed a
prezzi irrisori, rende priva di senso la costruzione in proprio di un
amplificatore utilizzando componenti discreti (e cioè singoli
transistor, resistenze, condensatori, ecc.).
In figura 4 è possibile confrontare gli schemi di due amplificatori di
prestazioni più o meno equivalenti: quello in alto è realizzato con
sette transistor, oltre a varie resistenze e condensatori, mentre
quello in basso è realizzato con un circuito integrato, i cui piedini
sono indicati dai numeri posti vicino al simbolo centrale a triangolo;
è evidente la notevole differenza di complessità fra i due schemi,
senza considerare che il primo, oltre a richiedere più tempo per il
montaggio, risulta anche più costoso in termini di prezzo dei vari
componenti.
La costruzione in proprio con componenti discreti (ovvero sfusi) può
quindi essere giustificata solo in casi molto particolari, come ad
esempio quando un audiofilo raffinato, dotato anche di notevoli
capacità progettuali, voglia sperimentare qualche particolare soluzione
circuitale o avvalersi di componenti selezionati che egli ritiene in
grado di garantire prestazioni particolarmente valide; quanto, poi,
queste presunte differenze siano realmente percepibili durante il
normale ascolto, è tutto da dimostrare.
Vi sono anche accaniti sostenitori degli amplificatori a valvole, il cui suono, dicono, è di una purezza
|
non raggiungibile con circuiti a semiconduttori. A parte le
considerazioni nostalgiche, è mio parere che, chiacchierando
amichevolmente tra appassionati, si può affermare qualunque cosa:
qualcuno dirà "le valvole hanno un suono più caldo", altri diranno che
il suono delle valvole è "cristallino". Resta il fatto che le
caratteristiche di un amplificatore si dovrebbero valutare in base a
parametri dal significato indiscutibile, quali la distorsione armonica,
la risposta ai transienti, la banda passante, il rumore di fondo, ecc.;
le altre considerazioni sono solo valutazioni emozionali, affidate alla
sensibilità ed alle convinzioni personali.
Fatte queste premesse, forse anche un pò dispersive, vedremo in altre
pagine di questo sito come costruire in pratica qualche semplice
circuito che possa tornare utile nelle circostanze più comuni.
Nuovi progetti saranno aggiunti di volta in volta, anche in seguito ad eventuali richieste dei visitatori.
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