L'amplificatore operazionale come circuito integrato è uno dei circuiti
lineari maggiormente usati. Grazie alla produzione in larghissima
scala, il suo prezzo è sceso a livelli talmente bassi da renderne
conveniente l'uso in quasi tutte le possibili aree applicative.
L'amplificatore operazionale è un amplificatore in continua: ciò
significa che esiste una continuità elettrica fra ingresso e uscita; il
nome di "operazionale" è dovuto all'uso per cui era nato tale
amplificatore, e cioè il funzionamento all'interno di elaboratori
analogici per l'esecuzione di operazioni matematiche.
Nella sua forma più semplice (figura 1), un amplificatore operazionale
è composto essenzialmente da uno stadio d'ingresso, da un secondo
stadio amplificatore differenziale e da uno stadio di uscita in classe
AB, del tipo "emitter follower".
Un amplificatore operazionale ideale dovrebbe avere, in particolare,
amplificazione e resistenza d'ingresso elevatissime (praticamente
infinite) e resistenza di uscita bassissima (uguale a zero); gli
amplificatori operazionali reali si avvicinano in parte a tali
caratteristiche, per cui hanno una resistenza d'ingresso molto grande,
una resistenza di uscita molto piccola ed una amplificazione, ovvero un
guadagno in tensione, moto alto ma pur sempre limitato. A titolo di
esempio, uno dei più usati, il µA741, ha un guadagno di 200000, una
resistenza d'ingresso di 2 Mohm ed una resistenza di uscita di 75 ohm.
La corrente che un amplificatore operazionale può fornire in uscita in
genere non supera i 25 mA.
Senza approfondirne ulteriormente il funzionamento, passiamo adesso a
considerare l'aspetto esterno di un amplificatore operazionale, vale a
dire la forma in cui esso si presenta pronto all'uso. Uno degli
amplificatori operazionali più conosciuti, come già detto, è il 741,
disponibile abitualmente in contenitore metallico tondo oppure in
contenitore plastico DIL; la sua sigla cambia a seconda dei
costruttori, diventando LM741, oppure µA741, o altro ancora.
Per l'identificazione dei vari piedini si fa riferimento agli
schemi della figura 2, dove i piedini sono raffigurati visti da sopra;
nel caso del tipo tondo, il numero 8 corrisponde alla tacca presente
sull'involucro metallico.
Per tener fede all'indirizzo soprattutto
pratico di questo corso, non ci dilungheremo sulle equazioni
caratteristiche e sulle problematiche progettuali degli amplificatori
operazionali, ma li tratteremo come un'unità funzionale, dotata di
ingressi e uscite, con determinate caratteristiche.
In figura 3 vediamo il nostro amplificatore operazionale, per esempio
un LM741, inserito in un circuito che consente di sperimentarne il
funzionamento. Osserviamo che l'operazionale ha due ingressi,
contrassegnati con un "-" (piedino 2) e con un "+" (piedino 3); ci sono
poi un'uscita, indicata con OUT (piedino 6), e due terminali per
l'alimentazione dell'integrato (piedini 7 e 4). Perchè gli ingressi
sono due? Perchè l'almplificatore operazionale è prima di tutto un
amplificatore "differenziale"; ciò vuol dire che il segnale presente in
uscita non dipende solo da uno o dall'altro degli ingressi, ma da tutti
e due, ed esattamente dalla differenza che esiste fra il segnale
applicato su un ingresso ed il segnale applicato sull'altro. E' proprio
qui che si evidenzia la principale caratteristica di un simile
circuito: è sufficiente che fra i due ingressi vi sia una differenza di
tensione anche di pochi µV, perchè l'uscita cambi completamente il suo
stato, passando per esempio da zero al massimo valore della tensione di
alimentazione.
Supponiamo di alimentare il circuito con 10 V, e che le due resistenze
R1 ed R2 abbiano lo stesso valore: la tensione di alimentazione sarà
allora presente per metà ai capi di R1 e per metà ai capi di R2; in
altre parole, al centro, e quindi sul piedino 3 dell'integrato, ci
saranno esattamente 5 V. Il piedino 2 è collegato invece ad RV1, che è
una resistenza variabile: possiamo quindi far variare a piacere la
tensione che risulta applicata sul piedino 2 dell'amplificatore
operazionale.
Spostiamo il cursore di RV1 in modo da portarlo verso il positivo
(figura 4), applicando così al piedino 2 una tensione senz'altro
superiore a 5V, e quindi leggiamo, con un tester, la tensione presente
in uscita: troveremo un valore molto vicino allo zero.
Spostiamo
adesso il cursore di RV1 in modo da portarlo in basso (figura 5), verso
la tensione zero, applicando così al piedino 2 una tensione senz'altro
inferiore a 5V, e quindi leggiamo la tensione in uscita: troveremo un
valore molto vicino alla tensione di alimentazione (che è 10 V).
Quello che abbiamo appena constatato ci permette di formulare la regola
basilare del funzionamento del nostro amplificatore operazionale:
quando la tensione sul piedino "-" è maggiore della tensione sul
piedino "+" l'uscita è a livello basso (cioè prossimo a zero); quando
la tensione sul piedino "-" è minore della tensione sul piedino "+"
l'uscita è a livello alto (cioè prossimo alla tensione di
alimentazione).
Ma, come già si è detto, non occorre che la tensione sul piedino 2 vari
di alcuni volt: sono sufficienti pochi milionesimi di volt per
provocare la "commutazione" dell'uscita. Se vi divertite ad osservare
la tensione indicata dal tester mentre ruotate RV1, vedrete che ad un
certo istante, di colpo, la tensione in uscita passa da zero al
massimo, o viceversa; potete tornare indietro, spostare il cursore di
RV1 quanto volete, ma non riuscirete mai a trovare una posizione tale
che permetta di avere in uscita un valore intermedio, vicino alla metà
della tensione di alimentazione.
Poichè, come si è visto, quando l'ingresso "-" è a tensione più alta,
l'uscita è a livello basso, si dice che tale ingresso è "invertente".
Se invece avessimo collegato a tensione fissa il piedino 2, variando la
tensione del piedino 3, avremmo riscontrato le stesse variazioni della
tensione di uscita, ma con verso corrispondente alla tensione applicata
sull'ingresso "+"; per tale motivo, l'ingresso "+" viene chiamato
"ingresso non invertente".
Usato come amplificatore, l'operazionale presenta la caratteristica di
amplificare qualsiasi segnale applicato in ingresso: sia un normale
segnale variabile, caratterizzato da determinate frequenze, sia una
tensione con fluttuazioni lentissime o, addirittura, di valore
costante. Parlando in termini di frequenza, si dice quindi che
l'amplificatore operazionale lavora con frequenze da zero (corrente
continua) fino ad un valore massimo, determinato dalle caratteristiche
specifiche dell'amplificatore stesso. A questo proposito, è opportuno
accennare brevemente ad un parametro caratteristico degli amplificatori
operazionali: si tratta del prodotto guadagno x larghezza di banda,
che per ogni amplificatore operazionale ha un preciso valore, fisso ed
immutabile. Tale parametro ci dice, in pratica, che se noi utilizziamo
l'amplificatore in modo da ottenere una maggior amplificazione,
perdiamo proporzionalmente in larghezza di banda, e cioè possiamo
amplificare segnali in un campo di frequenze più limitato. Il µA741,
per esempio, ha una larghezza di banda di 1Mhz quando il guadagno è
uguale a 1; se viene usato in modo da amplificare 100 volte, la
larghezza di banda si riduce di 100 volte, e passa quindi a 10Khz. Il
guadagno più alto è utilizzabile quando l'amplificatore lavora con
frequenze bassissime o con tensioni continue: in tali casi il guadagno
può essere uguale o superiore a 100.000.
Ma come si determina l'amplificazione di un operazionale?
L'amplificatore operazionale, come amplificatore in continua, può
essere utilizzato in diverse configurazioni, di cui adesso vedremo le
più comuni.
lineari maggiormente usati. Grazie alla produzione in larghissima
scala, il suo prezzo è sceso a livelli talmente bassi da renderne
conveniente l'uso in quasi tutte le possibili aree applicative.
L'amplificatore operazionale è un amplificatore in continua: ciò
significa che esiste una continuità elettrica fra ingresso e uscita; il
nome di "operazionale" è dovuto all'uso per cui era nato tale
amplificatore, e cioè il funzionamento all'interno di elaboratori
analogici per l'esecuzione di operazioni matematiche.
Nella sua forma più semplice (figura 1), un amplificatore operazionale
è composto essenzialmente da uno stadio d'ingresso, da un secondo
stadio amplificatore differenziale e da uno stadio di uscita in classe
AB, del tipo "emitter follower".
|
Un amplificatore operazionale ideale dovrebbe avere, in particolare,
amplificazione e resistenza d'ingresso elevatissime (praticamente
infinite) e resistenza di uscita bassissima (uguale a zero); gli
amplificatori operazionali reali si avvicinano in parte a tali
caratteristiche, per cui hanno una resistenza d'ingresso molto grande,
una resistenza di uscita molto piccola ed una amplificazione, ovvero un
guadagno in tensione, moto alto ma pur sempre limitato. A titolo di
esempio, uno dei più usati, il µA741, ha un guadagno di 200000, una
resistenza d'ingresso di 2 Mohm ed una resistenza di uscita di 75 ohm.
La corrente che un amplificatore operazionale può fornire in uscita in
genere non supera i 25 mA.
Senza approfondirne ulteriormente il funzionamento, passiamo adesso a
considerare l'aspetto esterno di un amplificatore operazionale, vale a
dire la forma in cui esso si presenta pronto all'uso. Uno degli
amplificatori operazionali più conosciuti, come già detto, è il 741,
disponibile abitualmente in contenitore metallico tondo oppure in
contenitore plastico DIL; la sua sigla cambia a seconda dei
costruttori, diventando LM741, oppure µA741, o altro ancora.
|
Per l'identificazione dei vari piedini si fa riferimento agli
schemi della figura 2, dove i piedini sono raffigurati visti da sopra;
nel caso del tipo tondo, il numero 8 corrisponde alla tacca presente
sull'involucro metallico.
Per tener fede all'indirizzo soprattutto
pratico di questo corso, non ci dilungheremo sulle equazioni
caratteristiche e sulle problematiche progettuali degli amplificatori
operazionali, ma li tratteremo come un'unità funzionale, dotata di
ingressi e uscite, con determinate caratteristiche.
|
In figura 3 vediamo il nostro amplificatore operazionale, per esempio
un LM741, inserito in un circuito che consente di sperimentarne il
funzionamento. Osserviamo che l'operazionale ha due ingressi,
contrassegnati con un "-" (piedino 2) e con un "+" (piedino 3); ci sono
poi un'uscita, indicata con OUT (piedino 6), e due terminali per
l'alimentazione dell'integrato (piedini 7 e 4). Perchè gli ingressi
sono due? Perchè l'almplificatore operazionale è prima di tutto un
amplificatore "differenziale"; ciò vuol dire che il segnale presente in
uscita non dipende solo da uno o dall'altro degli ingressi, ma da tutti
e due, ed esattamente dalla differenza che esiste fra il segnale
applicato su un ingresso ed il segnale applicato sull'altro. E' proprio
qui che si evidenzia la principale caratteristica di un simile
circuito: è sufficiente che fra i due ingressi vi sia una differenza di
tensione anche di pochi µV, perchè l'uscita cambi completamente il suo
stato, passando per esempio da zero al massimo valore della tensione di
alimentazione.
Supponiamo di alimentare il circuito con 10 V, e che le due resistenze
R1 ed R2 abbiano lo stesso valore: la tensione di alimentazione sarà
allora presente per metà ai capi di R1 e per metà ai capi di R2; in
altre parole, al centro, e quindi sul piedino 3 dell'integrato, ci
saranno esattamente 5 V. Il piedino 2 è collegato invece ad RV1, che è
una resistenza variabile: possiamo quindi far variare a piacere la
tensione che risulta applicata sul piedino 2 dell'amplificatore
operazionale.
|
Spostiamo il cursore di RV1 in modo da portarlo verso il positivo
(figura 4), applicando così al piedino 2 una tensione senz'altro
superiore a 5V, e quindi leggiamo, con un tester, la tensione presente
in uscita: troveremo un valore molto vicino allo zero.
Spostiamo
adesso il cursore di RV1 in modo da portarlo in basso (figura 5), verso
la tensione zero, applicando così al piedino 2 una tensione senz'altro
inferiore a 5V, e quindi leggiamo la tensione in uscita: troveremo un
valore molto vicino alla tensione di alimentazione (che è 10 V).
Quello che abbiamo appena constatato ci permette di formulare la regola
basilare del funzionamento del nostro amplificatore operazionale:
quando la tensione sul piedino "-" è maggiore della tensione sul
piedino "+" l'uscita è a livello basso (cioè prossimo a zero); quando
la tensione sul piedino "-" è minore della tensione sul piedino "+"
l'uscita è a livello alto (cioè prossimo alla tensione di
alimentazione).
Ma, come già si è detto, non occorre che la tensione sul piedino 2 vari
di alcuni volt: sono sufficienti pochi milionesimi di volt per
provocare la "commutazione" dell'uscita. Se vi divertite ad osservare
la tensione indicata dal tester mentre ruotate RV1, vedrete che ad un
certo istante, di colpo, la tensione in uscita passa da zero al
massimo, o viceversa; potete tornare indietro, spostare il cursore di
RV1 quanto volete, ma non riuscirete mai a trovare una posizione tale
che permetta di avere in uscita un valore intermedio, vicino alla metà
della tensione di alimentazione.
Poichè, come si è visto, quando l'ingresso "-" è a tensione più alta,
l'uscita è a livello basso, si dice che tale ingresso è "invertente".
Se invece avessimo collegato a tensione fissa il piedino 2, variando la
tensione del piedino 3, avremmo riscontrato le stesse variazioni della
tensione di uscita, ma con verso corrispondente alla tensione applicata
sull'ingresso "+"; per tale motivo, l'ingresso "+" viene chiamato
"ingresso non invertente".
Usato come amplificatore, l'operazionale presenta la caratteristica di
amplificare qualsiasi segnale applicato in ingresso: sia un normale
segnale variabile, caratterizzato da determinate frequenze, sia una
tensione con fluttuazioni lentissime o, addirittura, di valore
costante. Parlando in termini di frequenza, si dice quindi che
l'amplificatore operazionale lavora con frequenze da zero (corrente
continua) fino ad un valore massimo, determinato dalle caratteristiche
specifiche dell'amplificatore stesso. A questo proposito, è opportuno
accennare brevemente ad un parametro caratteristico degli amplificatori
operazionali: si tratta del prodotto guadagno x larghezza di banda,
che per ogni amplificatore operazionale ha un preciso valore, fisso ed
immutabile. Tale parametro ci dice, in pratica, che se noi utilizziamo
l'amplificatore in modo da ottenere una maggior amplificazione,
perdiamo proporzionalmente in larghezza di banda, e cioè possiamo
amplificare segnali in un campo di frequenze più limitato. Il µA741,
per esempio, ha una larghezza di banda di 1Mhz quando il guadagno è
uguale a 1; se viene usato in modo da amplificare 100 volte, la
larghezza di banda si riduce di 100 volte, e passa quindi a 10Khz. Il
guadagno più alto è utilizzabile quando l'amplificatore lavora con
frequenze bassissime o con tensioni continue: in tali casi il guadagno
può essere uguale o superiore a 100.000.
Ma come si determina l'amplificazione di un operazionale?
L'amplificatore operazionale, come amplificatore in continua, può
essere utilizzato in diverse configurazioni, di cui adesso vedremo le
più comuni.
| Amplificatore invertente: Av = R2 / R1 (ciò significa che se R2 è di valore più basso, si ha più controreazione e quindi il guadagno è minore). Vediamo un esempio pratico: R1 = 100 Kohm (cioè 100.000 ohm) R2 = 1 Mohm (cioè 1.000.000 di ohm) Vi= 1mV L'amplificazione Vu/Vi sarà: Av=1.000.000:100.000=10 Poichè l'amplificazione è 10, con 1 mV in entrata avremo in uscita 10 mV Osserviamo che il segnale in uscita è invertito, ovvero è di segno opposto a quello in entrata; se Vi aumenta, Vu diminuisce, e viceversa. lo schema è quello di figura 6. La tensione Vi viene applicata all'ingresso invertente attraverso la resistenza R1; Vu è la tensione amplificata che si ritrova in uscita. La resistenza R2 riporta all'entrata parte del segnale in uscita, realizzando in tal modo quella che viene detta "controreazione"; senza R2, l'operazionale non potrebbe funzionare come amplificatore lineare, poichè la sua uscita commuterebbe con estrema rapidità fra un valore minimo (prossimo a zero) ed un valore massimo (prossimo alla tensione di alimentazione). L'amplificazione del circuito di figura 6 dipende dalle due resistenze R1 ed R2, secondo la formula |
Amplificatore non invertente: nello schema di figura 7 vediamo che il segnale d'ingresso viene applicato all'ingresso contrassegnato col "+", ovvero a quello non invertente. In questo caso, infatti, il segnale in uscita ha lo stesso segno di quello in entrata. In questo caso, l'amplificazione è data dalla formula: Av = (R1 + R2) / R1 Anche per l'amplificatore non invertente, come si vede dallo schema, la resistenza R2 determina una certa quantità di reazione negativa (o controreazione), che diminuisce il guadagno dell'amplificatore ma gli consente di lavorare linearmente. |
|
| Buffer a guadagno unitario: il circuito di figura 8 mostra l'utilizzo dell'operazionale come "buffer". Col termine "buffer" si intende un circuito che svolge una funzione di separazione o di adattamento; nel caso specifico, il circuito presenta la più alta impedenza d'ingresso ottenibile con gli amplificatori operazionali. Per ottenere tale risultato, si applica il massimo valore possibile di controreazione, collegando direttamente l'uscita con l'ingresso invertente. Per tale motivo, il guadagno di questo circuito è uguale a 1, il che vuol dire che il circuito non amplifica (essendo il segnale di uscita uguale a quello di entrata); in altre parole, non si ottiene un guadagno di tensione, ma un guadagno di impedenza. |
Sab Ott 13, 2012 11:06 pm Da NICO50
» Supercoppa Italiana - Lazio, buona la prima: la Supercoppa è tua
Sab Ago 08, 2009 6:50 pm Da TOMMY's
» Semaforo elettronico
Gio Ago 06, 2009 5:19 pm Da TOMMY's
» Electronics Assistant: 4.1
Gio Ago 06, 2009 5:14 pm Da TOMMY's
» Capacitor Conversions Ver 1.2.0
Mar Ago 04, 2009 10:08 pm Da TOMMY's
» Resistor Color Code Calculator Ver 2.4
Mar Ago 04, 2009 10:04 pm Da TOMMY's
» TELEGUIDA SERALE GIUGNO 09
Mar Giu 30, 2009 12:02 pm Da TOMMY's
» Episodi
Mar Giu 23, 2009 8:44 pm Da TOMMY's
» Classifica piloti e team
Lun Giu 22, 2009 11:25 am Da TOMMY's