Signal
Titolo originale: The Signal
USA: 2007. Regia di: David Bruckner, Jacob Gentry, Dan Bush Genere: Horror Durata: 101'
Interpreti: Anessa Ramsey, A.J.Bowen, Justin Welborn, Scott Poythress
Sito web: www.doyouhavethecrazy.com
Nelle sale dal: 22/08/2008
Voto: 6
Recensione di: Nicola Picchi
L’Apocalisse
prossima ventura sembra essere tornata di gran moda e, poco dopo i
lemmings suicidi di M. Night Shyamalan, arriva questo “The Signal”,
prodotto indipendente già passato lo scorso anno al solito Sundance.
Tutte le radio, i cellulari e i televisori della città di Terminus,
nome che s’immagina non casuale, trasmettono un segnale ipnotico, che
causa una psicosi di massa. Invece di porre fine alla propria vita, le
persone influenzate dalla misteriosa interferenza preferiscono
toglierla agli altri, preferibilmente in maniera cruenta e dolorosa.
Mentre nel film di Shyamalan gli attori cercavano di conformare la
propria espressività a quella della flora che ne tramava l’estinzione
(forse un’imprevedibile astuzia mimetica), e gli unici momenti
folgoranti erano dedicati ai compassati suicidi, in “The Signal”, opera
di pretese assai più basse e che sconta evidenti limiti di budget, a
funzionare è proprio il terzetto di protagonisti di cui seguiamo le
disavventure. Attraverso tre “trasmissioni” (Crazy in love, The
Jealousy monster e Escape from Terminus), firmate da tre registi
diversi, “The Signal” racconta la storia di Mya che, afflitta dal
gelosissimo marito Lewis, ha una relazione clandestina con Ben. Alla
vigilia del Capodanno, tornando a casa, nota che gli abitanti del suo
condominio, a cominciare dal marito, iniziano a comportarsi stranamente
e ad utilizzare in modo improprio mazze da baseball, cesoie da
giardino, vanghe e quant’altro, e non ci mette molto a capire che c’è
qualcosa che non va; decide così di lasciare la città, mentre i due
uomini si mettono sulle sue tracce.
I riferimenti partono dal prototipo del genere, “La città verrà
distrutta all’alba”, e arrivano fino a “28 giorni dopo”, mentre la
coincidenza con “The Cell” di Stephen King appare casuale, perché i due
prodotti erano in gestazione contemporaneamente. Ma agli autori non
interessa fare un cinema “politico” alla Romero, bensì raffigurare
un’Apocalisse contemporanea, ovvero priva del versante escatologico, in
bilico tra gore e humour nero che finisce per non essere né horror né
commedia, creando un miscuglio dal sapore inusuale.
L’inizio del film rientra perfettamente nei canoni del genere, e può
vantare qualche scena indovinata, come quella dell’omicidio visto
attraverso lo specchietto retrovisore, ma la parte centrale, diretta da
Jacob Gentry, ha più della black comedy, con l’impagabile personaggio
che, incurante dei cadaveri sparpagliati un po’ dappertutto, si
presenta alla festa augurandosi di rimorchiare una ragazza per
festeggiare degnamente il Capodanno. Eppure anche questo supposto
alleggerimento si rivela ingannevole, dato che l’umorismo sterza
bruscamente, e la tranche finale è considerevolmente più cupa, vantando
persino qualche inquadratura rubacchiata da “Kairo” di Kurosawa
Kiyoshi, mentre il finale rimane volutamente ambiguo.
Girato in digitale in due settimane, con un budget inferiore ai 5
milioni di dollari (bassissimo per gli standard americani), “The
Signal” è interpretato da attori semisconosciuti di Atlanta, che
riescono a tener sempre desta l’attenzione anche durante le inevitabili
cadute di tono.
In particolare Anessa Ramsey, nella parte di Mya, e Justin Welborn, in
quella di Ben, sono una spanna sopra agli altri, riuscendo nella non
trascurabile impresa di far appassionare lo spettatore alla loro sorte.
Una caratteristica elementare ma fondamentale per questo genere di
film, e una cosa in cui “E venne il giorno” falliva completamente,
sciorinando dialoghi che, tra tiramisù clandestini ed avvenenti
farmaciste erano sì un’Apocalisse, ma della sceneggiatura.
Titolo originale: The Signal
USA: 2007. Regia di: David Bruckner, Jacob Gentry, Dan Bush Genere: Horror Durata: 101'
Interpreti: Anessa Ramsey, A.J.Bowen, Justin Welborn, Scott Poythress
Sito web: www.doyouhavethecrazy.com
Nelle sale dal: 22/08/2008
Voto: 6
Recensione di: Nicola Picchi
L’Apocalisse
prossima ventura sembra essere tornata di gran moda e, poco dopo i
lemmings suicidi di M. Night Shyamalan, arriva questo “The Signal”,
prodotto indipendente già passato lo scorso anno al solito Sundance.
Tutte le radio, i cellulari e i televisori della città di Terminus,
nome che s’immagina non casuale, trasmettono un segnale ipnotico, che
causa una psicosi di massa. Invece di porre fine alla propria vita, le
persone influenzate dalla misteriosa interferenza preferiscono
toglierla agli altri, preferibilmente in maniera cruenta e dolorosa.
Mentre nel film di Shyamalan gli attori cercavano di conformare la
propria espressività a quella della flora che ne tramava l’estinzione
(forse un’imprevedibile astuzia mimetica), e gli unici momenti
folgoranti erano dedicati ai compassati suicidi, in “The Signal”, opera
di pretese assai più basse e che sconta evidenti limiti di budget, a
funzionare è proprio il terzetto di protagonisti di cui seguiamo le
disavventure. Attraverso tre “trasmissioni” (Crazy in love, The
Jealousy monster e Escape from Terminus), firmate da tre registi
diversi, “The Signal” racconta la storia di Mya che, afflitta dal
gelosissimo marito Lewis, ha una relazione clandestina con Ben. Alla
vigilia del Capodanno, tornando a casa, nota che gli abitanti del suo
condominio, a cominciare dal marito, iniziano a comportarsi stranamente
e ad utilizzare in modo improprio mazze da baseball, cesoie da
giardino, vanghe e quant’altro, e non ci mette molto a capire che c’è
qualcosa che non va; decide così di lasciare la città, mentre i due
uomini si mettono sulle sue tracce.
I riferimenti partono dal prototipo del genere, “La città verrà
distrutta all’alba”, e arrivano fino a “28 giorni dopo”, mentre la
coincidenza con “The Cell” di Stephen King appare casuale, perché i due
prodotti erano in gestazione contemporaneamente. Ma agli autori non
interessa fare un cinema “politico” alla Romero, bensì raffigurare
un’Apocalisse contemporanea, ovvero priva del versante escatologico, in
bilico tra gore e humour nero che finisce per non essere né horror né
commedia, creando un miscuglio dal sapore inusuale.
L’inizio del film rientra perfettamente nei canoni del genere, e può
vantare qualche scena indovinata, come quella dell’omicidio visto
attraverso lo specchietto retrovisore, ma la parte centrale, diretta da
Jacob Gentry, ha più della black comedy, con l’impagabile personaggio
che, incurante dei cadaveri sparpagliati un po’ dappertutto, si
presenta alla festa augurandosi di rimorchiare una ragazza per
festeggiare degnamente il Capodanno. Eppure anche questo supposto
alleggerimento si rivela ingannevole, dato che l’umorismo sterza
bruscamente, e la tranche finale è considerevolmente più cupa, vantando
persino qualche inquadratura rubacchiata da “Kairo” di Kurosawa
Kiyoshi, mentre il finale rimane volutamente ambiguo.
Girato in digitale in due settimane, con un budget inferiore ai 5
milioni di dollari (bassissimo per gli standard americani), “The
Signal” è interpretato da attori semisconosciuti di Atlanta, che
riescono a tener sempre desta l’attenzione anche durante le inevitabili
cadute di tono.
In particolare Anessa Ramsey, nella parte di Mya, e Justin Welborn, in
quella di Ben, sono una spanna sopra agli altri, riuscendo nella non
trascurabile impresa di far appassionare lo spettatore alla loro sorte.
Una caratteristica elementare ma fondamentale per questo genere di
film, e una cosa in cui “E venne il giorno” falliva completamente,
sciorinando dialoghi che, tra tiramisù clandestini ed avvenenti
farmaciste erano sì un’Apocalisse, ma della sceneggiatura.
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