The Hurt Locker
Titolo originale: The Hurt Locker
USA: 2008. Regia di: Kathryn Bigelow Genere: Drammatico Durata: 127'
Interpreti: Ralph Fiennes, Guy Pearce, David Morse, Jeremy Renner, Christian Camargo, Brian Geraghty, Sam Redford, Kate Mines
Sito web:
Nelle sale dal: 10/10/2008
Voto: 7,5
Recensione di: Denis Zordan
La realtà quotidiana della guerra in Iraq raccontata attraverso le vicende
di alcuni artificieri dell’esercito americano. Il personaggio
principale è il sergente William James (Jeremy Renner, già visto in
S.W.A.T.), autentico recordman nel disinnescare bombe con uno sprezzo
del pericolo altissimo, pari alla sua (solo apparente) incoscienza. Una
volta tornato a casa, accanto a moglie e figlio, non riuscirà a
sottrarsi al desiderio di ritornare volontario in Iraq.
The Hurt Locker (il titolo originale si riferisce alla cassetta in cui
vengono riposti i poveri resti di coloro che muoiono tentando di
disinnescare un ordigno) è il film che segna finalmente il ritorno di
Kathryn Bigelow, più che mai in forma dopo alcune prove minori non
troppo convincenti. C’è da chiedersi perché, in sede veneziana dove The
Hurt Locker era in concorso, una parte della critica si sia pronunciata
contro questo film, definendolo con aggettivi sprezzanti, “bushista”,
guerrafondaio, “machista”. Un travisamento che dà da pensare, visto e
considerato che la regista ha dichiarato esplicitamente in conferenza
stampa di aver fatto “un film contro la guerra in Iraq”.
Mettiamo un po’ di ordine. The Hurt Locker è uno sguardo lucido sulla
realtà della guerra, ma dal di dentro, nei meccanismi psicologici che
mette in moto nei soldati. Più che guardare ai loro torti o ragioni (o
ai torti e ragioni dell’America in guerra), Bigelow s’interroga sul
come e perché la guerra riesca a modellarne aspirazioni e scelte, fino
al punto di distoglierle dal naturale corso della vita (il sergente
James è una persona assennata, ha una vita normale, non è un disperato
né un nazionalista fanatico, tanto meno un sanguinario) e indirizzarle
verso il sacrificio di sé. Gli aspetti meno interessanti del film sono
quelli in fondo già visti (la sequenza dell’attacco nel deserto,
l’idiozia del colonnello che si esalta per il numero incredibile di
bombe disinnescate dal sergente o l’incipit con Guy Pearce, costruito
su una suspense più tradizionale), mentre a poco a poco affiora
viceversa un sentimento di sgomento, d’inquietudine che cova sotto la
superficie.
James preferisce infatti l’assurdo mestiere dell’artificiere alle gioie
della vita borghese con la famiglia – in tal senso la scena della spesa
al supermercato, con il protagonista che si ritrova di fronte decine e
decine di marche diverse di corn flakes tra cui scegliere, più che come
una banale critica alla società dei consumi, è da intendere come una
sintesi semplice ed efficace del suo stato di disagio – e non sa
perché. Egli non sa perché fa quello che fa, non sa perché è quello che
è (in un momento di sconforto è proprio lui a dirlo al commilitone che
desidera tornare a casa per vivere una vita normale, lontano da quelle
strade di morte: “Do you know why I am what I am…?” ….”Er… No…” è la
risposta, dolente, del compagno).
Film al contempo realistico e allucinato sulle pulsioni più profonde
che ci portano all’azione, The Hurt Locker è un film sulla dannazione e
la disperazione di portare la guerra dentro di sé, scevro dai futili
pacifismi o da considerazioni idealistiche sull’essere umano. Kathryn
Bigelow, pur con uno sguardo talora parziale, rileva la contraddizione
che anima gli uomini come James, insieme intelligenti e alienati, e
sceglie coerentemente di non dare soluzioni agli spettatori: il ritorno
del sergente al fronte (se di “fronte” si può parlare) è la
dimostrazione di un enigma non sciolto (e forse anche questo ha
contribuito ad irritare la critica benpensante), di una sorta di
richiamo della foresta che non si spegne nell’animo umano.
Sarebbe riduttivo, pertanto, fermarsi alla lettera delle dichiarazioni
della regista: The Hurt Locker vibra di un’intensa malinconia, di
un’impossibilità di essere normali che non si può liquidare come la
semplice paura di una vita ordinaria.
Il film non va letto in chiave ideologica, semmai in senso
antropologico, come il racconto dell’impotenza a dominare completamente
il proprio intimo sentire. Ed è, in tal senso, e nella sua ambiguità,
un film sommessamente tragico sulle oscurità dell’animo umano.
Uno dei più dolenti e misconosciuti della rassegna veneziana di quest’anno.
Titolo originale: The Hurt Locker
USA: 2008. Regia di: Kathryn Bigelow Genere: Drammatico Durata: 127'
Interpreti: Ralph Fiennes, Guy Pearce, David Morse, Jeremy Renner, Christian Camargo, Brian Geraghty, Sam Redford, Kate Mines
Sito web:
Nelle sale dal: 10/10/2008
Voto: 7,5
Recensione di: Denis Zordan
La realtà quotidiana della guerra in Iraq raccontata attraverso le vicende
di alcuni artificieri dell’esercito americano. Il personaggio
principale è il sergente William James (Jeremy Renner, già visto in
S.W.A.T.), autentico recordman nel disinnescare bombe con uno sprezzo
del pericolo altissimo, pari alla sua (solo apparente) incoscienza. Una
volta tornato a casa, accanto a moglie e figlio, non riuscirà a
sottrarsi al desiderio di ritornare volontario in Iraq.
The Hurt Locker (il titolo originale si riferisce alla cassetta in cui
vengono riposti i poveri resti di coloro che muoiono tentando di
disinnescare un ordigno) è il film che segna finalmente il ritorno di
Kathryn Bigelow, più che mai in forma dopo alcune prove minori non
troppo convincenti. C’è da chiedersi perché, in sede veneziana dove The
Hurt Locker era in concorso, una parte della critica si sia pronunciata
contro questo film, definendolo con aggettivi sprezzanti, “bushista”,
guerrafondaio, “machista”. Un travisamento che dà da pensare, visto e
considerato che la regista ha dichiarato esplicitamente in conferenza
stampa di aver fatto “un film contro la guerra in Iraq”.
Mettiamo un po’ di ordine. The Hurt Locker è uno sguardo lucido sulla
realtà della guerra, ma dal di dentro, nei meccanismi psicologici che
mette in moto nei soldati. Più che guardare ai loro torti o ragioni (o
ai torti e ragioni dell’America in guerra), Bigelow s’interroga sul
come e perché la guerra riesca a modellarne aspirazioni e scelte, fino
al punto di distoglierle dal naturale corso della vita (il sergente
James è una persona assennata, ha una vita normale, non è un disperato
né un nazionalista fanatico, tanto meno un sanguinario) e indirizzarle
verso il sacrificio di sé. Gli aspetti meno interessanti del film sono
quelli in fondo già visti (la sequenza dell’attacco nel deserto,
l’idiozia del colonnello che si esalta per il numero incredibile di
bombe disinnescate dal sergente o l’incipit con Guy Pearce, costruito
su una suspense più tradizionale), mentre a poco a poco affiora
viceversa un sentimento di sgomento, d’inquietudine che cova sotto la
superficie.
James preferisce infatti l’assurdo mestiere dell’artificiere alle gioie
della vita borghese con la famiglia – in tal senso la scena della spesa
al supermercato, con il protagonista che si ritrova di fronte decine e
decine di marche diverse di corn flakes tra cui scegliere, più che come
una banale critica alla società dei consumi, è da intendere come una
sintesi semplice ed efficace del suo stato di disagio – e non sa
perché. Egli non sa perché fa quello che fa, non sa perché è quello che
è (in un momento di sconforto è proprio lui a dirlo al commilitone che
desidera tornare a casa per vivere una vita normale, lontano da quelle
strade di morte: “Do you know why I am what I am…?” ….”Er… No…” è la
risposta, dolente, del compagno).
Film al contempo realistico e allucinato sulle pulsioni più profonde
che ci portano all’azione, The Hurt Locker è un film sulla dannazione e
la disperazione di portare la guerra dentro di sé, scevro dai futili
pacifismi o da considerazioni idealistiche sull’essere umano. Kathryn
Bigelow, pur con uno sguardo talora parziale, rileva la contraddizione
che anima gli uomini come James, insieme intelligenti e alienati, e
sceglie coerentemente di non dare soluzioni agli spettatori: il ritorno
del sergente al fronte (se di “fronte” si può parlare) è la
dimostrazione di un enigma non sciolto (e forse anche questo ha
contribuito ad irritare la critica benpensante), di una sorta di
richiamo della foresta che non si spegne nell’animo umano.
Sarebbe riduttivo, pertanto, fermarsi alla lettera delle dichiarazioni
della regista: The Hurt Locker vibra di un’intensa malinconia, di
un’impossibilità di essere normali che non si può liquidare come la
semplice paura di una vita ordinaria.
Il film non va letto in chiave ideologica, semmai in senso
antropologico, come il racconto dell’impotenza a dominare completamente
il proprio intimo sentire. Ed è, in tal senso, e nella sua ambiguità,
un film sommessamente tragico sulle oscurità dell’animo umano.
Uno dei più dolenti e misconosciuti della rassegna veneziana di quest’anno.
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