Titolo: 10 cose di noi (10 Items or Less)
Regia: Brad Siberling
Sceneggiatura: Brad Silberling
Fotografia: Phedon Papamichael
Interpreti: Morgan Freeman, Paz Vega, Jonah Hill, Alexandra Berardi, Bobby Cannavale, Anne Dudek, Kumar Pallana, Jim Parsons, Francisca Hernandez, Nacho Pina, Hector Running-Hawk, Alexis Hernandez, Silvia Curiel, Shawn Calizo, Kumar Pallana, Rosa Diaz, Hector Atreyu Ruiz, Leonardo Nam, Jennifer Echols, Matthew Perales, Danny DeVito
Nazionalità: USA, 2006
Durata: 1h. 22'
Morgan Freeman produce, Brad Silberling dirige. Uno dei più grandi attori di Hollywood il primo, un regista che da Hollywood non si è mai allontanato il secondo. Che cosa abbia spinto entrambi - ma lascia decisamente più perplessi il coinvolgimento di Freeman - ad imbarcarsi in questa commediola insulsa e scipita, resta un mistero. L'urgenza di fuggire dallo star system? La necessità di gigioneggiare? La libertà di un film indipendente? Oltre che produttore Morgan Freeman è, ovviamente, anche attore. Così come Silberling oltre che regista è anche sceneggiatore.
Morgan Freeman interpreta se stesso, un'icona hollywoodiana a riposo da quattro anni, che, durante i sopralluoghi nel supermercato dove dovrebbe girare il suo prossimo film, si imbatte nella esuberante personalità dell'addetta alla cassa rapida, massimo dieci pezzi (da qui il titolo originale malamente tradotto in Dieci cose di noi per suscitare un minimo appeal sul pubblico italiano). Tra i due nasce una tenera amicizia che porterà l'uno a rimettersi in discussione dopo anni di carriera e l'altra a dare una svolta decisiva alla propria vita.
Un'operazione del genere avrebbe forse funzionato se nella parte della star in declino ce ne fosse stata una davvero in declino. Freeman non è a riposo da quattro anni (nel 2004 ha vinto l'Oscar per "Million Dollar Baby" ed ha all'attivo altri film prima di questo che risale al 2006, da "Batman Begins" ad "Edison City" a "Slevin") e non è certo una star in declino. Trattandosi di un film indipendente avrebbe senza dubbio giovato la presenza di un attore meno consacrato, come Burt Reynolds (il primo che salta alla mente). Ma questa è una minuzia rispetto a tutto il resto.
Morgan Freeman in una scenaSembra quasi che Silberling, stanco di girare ad Hollywood ("Casper", "City of Angels", "Lemony Snicket"), si sia voluto togliere lo sfizio di fare un film indipendente. Minimalismo a gogò, low budget e quell'insopportabile humour buonista da sit-com per famiglie. Risulta davvero forzato e poco credibile che Freeman diventi amico di una cassiera ispanica e passi con lei un'intera giornata a parlare del più e del meno consigliandola e spronandola a dare il meglio come il Dio politically correct di "Una settimana da Dio". Non fa neanche ridere vedere una star del suo calibro ridursi ad emulare il decrepito vicedirettore del supermarket che dovrebbe interpretare calandosi anima e corpo nel ruolo come vogliono le ferree leggi dell'Actor's Studio.
Silberling dice di essersi 'depurato' dall'inquinamento di Hollywood riguardandosi i capolavori neorealisti del nostro cinema (!) e di essersi fatto un regalo andando in strada con due grandi attori e filmando. Peccato che la terapia mentale abbia funzionato solo su di lui, perché l'intimismo che voleva trasferire a tutto il processo di realizzazione del film (proporzioni, tempi e costi) si rivela piuttosto fasullo. E poi sì: è vero che in un film indipendente i soldi sono pochi, però anche permettere un trionfo di product placement (dalle marche in bella vista di carta igienica e corn-flakes alle sigle dei grandi magazzini) è abbastanza deprimente. Per non parlare del finale, coi momenti che si vorrebbero più divertenti del backstage (Freeman che cerca di vendere un mocio o pulisce auto insieme ad un gruppo di inservienti latino-americani), stiracchiato fino all'estremo pur di raggiungere i miseri 82 minuti di un film che tutto sommato forse non esiste.
Regia: Brad Siberling
Sceneggiatura: Brad Silberling
Fotografia: Phedon Papamichael
Interpreti: Morgan Freeman, Paz Vega, Jonah Hill, Alexandra Berardi, Bobby Cannavale, Anne Dudek, Kumar Pallana, Jim Parsons, Francisca Hernandez, Nacho Pina, Hector Running-Hawk, Alexis Hernandez, Silvia Curiel, Shawn Calizo, Kumar Pallana, Rosa Diaz, Hector Atreyu Ruiz, Leonardo Nam, Jennifer Echols, Matthew Perales, Danny DeVito
Nazionalità: USA, 2006
Durata: 1h. 22'
Morgan Freeman produce, Brad Silberling dirige. Uno dei più grandi attori di Hollywood il primo, un regista che da Hollywood non si è mai allontanato il secondo. Che cosa abbia spinto entrambi - ma lascia decisamente più perplessi il coinvolgimento di Freeman - ad imbarcarsi in questa commediola insulsa e scipita, resta un mistero. L'urgenza di fuggire dallo star system? La necessità di gigioneggiare? La libertà di un film indipendente? Oltre che produttore Morgan Freeman è, ovviamente, anche attore. Così come Silberling oltre che regista è anche sceneggiatore.
Morgan Freeman interpreta se stesso, un'icona hollywoodiana a riposo da quattro anni, che, durante i sopralluoghi nel supermercato dove dovrebbe girare il suo prossimo film, si imbatte nella esuberante personalità dell'addetta alla cassa rapida, massimo dieci pezzi (da qui il titolo originale malamente tradotto in Dieci cose di noi per suscitare un minimo appeal sul pubblico italiano). Tra i due nasce una tenera amicizia che porterà l'uno a rimettersi in discussione dopo anni di carriera e l'altra a dare una svolta decisiva alla propria vita.
Un'operazione del genere avrebbe forse funzionato se nella parte della star in declino ce ne fosse stata una davvero in declino. Freeman non è a riposo da quattro anni (nel 2004 ha vinto l'Oscar per "Million Dollar Baby" ed ha all'attivo altri film prima di questo che risale al 2006, da "Batman Begins" ad "Edison City" a "Slevin") e non è certo una star in declino. Trattandosi di un film indipendente avrebbe senza dubbio giovato la presenza di un attore meno consacrato, come Burt Reynolds (il primo che salta alla mente). Ma questa è una minuzia rispetto a tutto il resto.
Morgan Freeman in una scenaSembra quasi che Silberling, stanco di girare ad Hollywood ("Casper", "City of Angels", "Lemony Snicket"), si sia voluto togliere lo sfizio di fare un film indipendente. Minimalismo a gogò, low budget e quell'insopportabile humour buonista da sit-com per famiglie. Risulta davvero forzato e poco credibile che Freeman diventi amico di una cassiera ispanica e passi con lei un'intera giornata a parlare del più e del meno consigliandola e spronandola a dare il meglio come il Dio politically correct di "Una settimana da Dio". Non fa neanche ridere vedere una star del suo calibro ridursi ad emulare il decrepito vicedirettore del supermarket che dovrebbe interpretare calandosi anima e corpo nel ruolo come vogliono le ferree leggi dell'Actor's Studio.
Silberling dice di essersi 'depurato' dall'inquinamento di Hollywood riguardandosi i capolavori neorealisti del nostro cinema (!) e di essersi fatto un regalo andando in strada con due grandi attori e filmando. Peccato che la terapia mentale abbia funzionato solo su di lui, perché l'intimismo che voleva trasferire a tutto il processo di realizzazione del film (proporzioni, tempi e costi) si rivela piuttosto fasullo. E poi sì: è vero che in un film indipendente i soldi sono pochi, però anche permettere un trionfo di product placement (dalle marche in bella vista di carta igienica e corn-flakes alle sigle dei grandi magazzini) è abbastanza deprimente. Per non parlare del finale, coi momenti che si vorrebbero più divertenti del backstage (Freeman che cerca di vendere un mocio o pulisce auto insieme ad un gruppo di inservienti latino-americani), stiracchiato fino all'estremo pur di raggiungere i miseri 82 minuti di un film che tutto sommato forse non esiste.
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FONTE: www.cinefile.biz
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